Recensioni – Terrone D.O.C.

La Torre, 11 luglio 1987


Safi


“TERRONE DOC” e le nobili radici della civiltà meridionale

di Roberto Ruocco

Da «Salerno in prima» dell’11 gennaio 2013

Rileggendo il libro di Fulvio Di Lieto, TERRONE D.O.C., pubblicato nel 1986 e ripubblicato nel 2012 dalla Editrice “Il Calamaio” di Roma, si ha la sensazione che esso abbia subìto un’ingiustizia. S’insinua il dubbio che il volume alla prima edizione non abbia avuto la fortuna che meritava e che invece merita per la freschezza della prosa, la veridicità delle atmosfere rievocate dallo scrittore, rievocazioni che rendono in maniera esemplare un recente passato prossimo. Di Lieto, uomo del Sud trapiantato a Roma, non ha mai dimenticato le sue origini, il suo vissuto che riemerge in maniera viva nei ricordi, alcuni personali, altri ricevuti dai racconti dei vecchi, dei congiunti, della gente comune.

Scrive Di Lieto nella premessa al libro: «Tutti questi popoli a Nord del fiume Ombrone, per dirla con i toscani, vengono definiti polentoni, in quanto si presume mangino polenta, ma in senso lato il termine indica un tipo di persona attiva e bonaria, positiva e ottimista, svelta di gesti e di acume, affidabile e funzionale. Ad essi vengono contrapposti in maniera speculare i terroni, tutti quei popoli che vivono o sopravvivono, a Sud del fiume in oggetto. La parola stessa indica la loro natura: sono bassi, proni verso la terra nella quale vivono immersi, quasi radicati… Sono in genere ottusi o furbi, mai intelligenti, tortuosi nel pensare e nell’esprimersi, impacciati e grezzi. In alcuni casi sono un po’ ladri, infidi ed effimeri».

Potrebbe sembrare, in premessa, che il libro parta da un’intenzione polemica nei confronti di opinioni che si sono trasformate, anche negli ultimi anni, in polemica politica circa la differenza tra Nord e Sud, ma lo scrittore ci sembra che si sia mosso su un altro piano, quello di riaffermare in maniera forte e decisa la dignità di una nazione che lui definisce “Terronia”, composta da un popolo carico di civiltà, di tradizione antica che prende origine da vicende storiche. L’autore con una scrittura limpida parte dalla riaffermazione della “coscienza di sé”, imputando al popolo di “Terronia” il non credere sufficientemente alla propria capacità, usando un termine preso in prestito dalla psicologia: una scarsa autostima di sé.

TERRONE D.O.C. è un libro da leggere e da rileggere. In esso riemerge la stagione del dopoguerra, con le sue crudeltà ma anche con la “poesia” della povertà e del disagio, i gesti semplici di un popolo sofferente e disincantato, ma anche capace di piccole gioie quotidiane, come la cura nella preparazione del caffè, che diviene un rito tutto meridionale. Riemerge vivida le descrizione del mese di settembre, il mese che gli uomini e le donne del Sud definiscono “seccafichi”, perché, scrive l’autore: «…il sole ha un carattere adatto a disidratare i frutti senza far loro perdere sapore e profumo.Sopra ogni terrazzo, per piccolo che fosse, si mettevano a soleggiare fichi e pomodori. I frutti e gli ortaggi venivano aperti a metà, con sapienza, una palma non doveva superare l’altra. Si stendevano su tavole di legno e poi si lasciava fare al sole».

TERRONE D.O.C. non ripropone tematiche meridionalistiche, ma semplicemente parla della realtà di un’Italia ancora divisa, non ancora capace di comprendere le diversità, perché in ogni differenza c’è una parte di originalità e di unicità.

Merita una segnalazione la bella copertina dell’artista Marina Sagramora.

Roberto Ruocco