Recensioni – Lara delle Camene

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Fulvio Di Lieto: Lara delle Camene

Pubblicato il 6 gennaio 2020 da Fabrizio Federici

Lara delle Camene - CopertinaVia Valle delle Camene, al centro di Roma, è una strada parallela a Viale delle Terme di Caracalla e vicina alle pendici del Colle Celio, nota al cittadino medio soprattutto per la chiesa sconsacrata dove, da anni, si celebrano i matrimoni col rito civile. Ma ai primordi di Roma, tutta quest’area compresa tra i futuri Circo Massimo e Terme di Caracalla conteneva fonti sacre, alberi e ruscelli: la Valle delle Camene.

Per i Romani antichi, Camene si chiamavano quattro divinità arcaiche, protettrici del focolare, in seguito ritenute in possesso di facoltà divinatorie, o comunque orientatrici: alla prima di esse, la mitica Ninfa Egeria, era particolarmente devoto – come riferiscono Tito Livio, Plutarco e altri storici minori – Numa Pompilio, il re sabino primo successore di Romolo (754-673 a.C.). Che cercò, soprattutto, di unificare rituali e costumi di romani e sabini, tentando di fonderli in unico popolo e superando il trauma causato, decenni prima, dal Ratto delle Sabine, voluto da Romolo e sfociato in una guerra tra i due popoli.

Ma il dissidio tra le due etnie sarebbe continuato a scorrere come un fiume carsico, sotto l’apparente concordia, per secoli della storia dell’Urbe.

Questo l’antefatto remoto della storia narrata nel romanzo Lara delle Camene (Firenze, Phasar Editrice, 2019 – €. 12,00), che Fulvio Di Lieto, poeta, organizzatore culturale, direttore della rivista online «L’Archetipo», ha scritto tracciando un ponte ideale tra la Roma arcaica e imperiale e quella di oggi, diremmo tra Mommsen e Cerami, tra Gregorovius e Pasolini, tra comizi curiati e comizi… politici. Sì, perché è il potere politico che spinge i servizi segreti, nella Roma del 2019, a premere sul commissario Nunzio Squillante (una via di mezzo, diremmo, tra il commissario Ingravallo del capolavoro di Gadda e un Maigret “alla vaccinara”) perché metta sotto torchio Marcello Blasi, giovane dipendente di un hotel romano con la passione per l’informatica.

Che cosa ha fatto il Nostro? Reduce da una storia d’amore finita con Francesca, giovane romana che ha ceduto alle lusinghe di un redditizio posto di lavoro in un albergo del Qatar, ha improvvisamente conosciuto Lara: ragazza di grande sensibilità musicale e artistica, dall’infanzia segnata da traumi, che per Marcello rappresenterà la svolta personale e affettiva della sua vita: ma anche la “sliding door” che lo immetterà in un aggrovigliato labirinto. Un “pasticciaccio” fatto di gruppi esoterici, appassionati di Roma antica (il Prof. Alberto Carancini Bordoni, come ricorda il mitico archeologo della “Sapienza” Andrea Carandini!…), presunti complotti antioccidentali di jihadisti e indù seguaci della dea Kalì.

Alla fine, il “Segno del comando” che Marcello e Lara ritroveranno interrogando il passato e il presente di Roma, rimanderà al giugno del 68 d.C: cioè alla congiura ordita contro Nerone, il geniale quanto controverso imperatore, assolutista ma populista e nemico dell’aristocrazia senatoria, dall’opposizione conservatrice e filo-repubblicana e dai militari dissidenti.

Tra questi, anzitutto Vespasiano e suo figlio Tito, desiderosi di prendere (come poi accadrà) il posto dell’Enobarbo: destinato a cadere proprio come Romolo, Cesare, Caligola e, in seguito, Domiziano. Attraverso la voce dei suoi protagonisti, Di Lieto evidenzia le prove contro Vespasiano e Tito, ambedue sabini; ecco tornare, ancora una volta, la vecchia “maledizione sabina”.

Del resto, aggiungiamo, sabina era stata anche Poppea, seconda moglie di Nerone e vicina alle lobbies filoebraiche e anticristiane: poi temporaneamente vincitrici, a Roma, con l’incendio del 64 d.C., attribuito appunto ai cristiani con la successiva persecuzione.

All’ombra del Colosseo, una vicenda tra il giallo storico e la classica “Spy story”: sull’onda di un grande amore per l’Urbe, “Stupenda e misera città”.

 

Fabrizio Federici

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