Ecologia interiore

…Una leggenda berbera narra di un’enclave nascosta nel cuore della catena montuosa dell’Haggar. Al centro della desolazione desertica, un’oasi florida in colture ed acque, un paradiso. Come tutti i paradisi in terra, gli eden introvabili, anche quel luogo rimaneva fuori dalla portata umana. Solo la fortuità poteva aprire uno spiraglio, e il caso volle che una banda di predoni, smarritasi in seguito a una tempesta di sabbia, finisse per ritrovarsi alle soglie di quel sito prodigioso. Con stupore i briganti dovettero scoprire che nessuna ambigua regina o strega o fata governava quella città, producendo con opere d’incantesimo o magia il miracolo di quelle fioriture e di quel rigoglio naturale. Tutto il prodigio era da attribuirsi piú realisticamente ad una comunità di uomini santi che si erano rifugiati in quel luogo, un tempo aspro e desolato quanto la regione circostante, e con la preghiera incessante, la penitenza e la pratica della meditazione e dell’ascesi piú rigorosa, oltre a un duro e ostinato lavoro, erano riusciti a bonificarlo, rendendolo fertile. I predoni estromisero i monaci eremiti, parte uccidendone, parte sperdendone nel deserto alla mercé del sole e della sabbia, che equivaleva ad una ben peggiore morte. In quel paradiso, si dissero i furfanti, avrebbero trascorso infiniti giorni oziosi, pascendosi di beatitudini di ogni genere, come prometteva il Profeta ai suoi seguaci nel Paradiso delle Urí. Non trascorsero molti giorni dalla cacciata dei frati penitenti, che il luogo cominciò a deperire, in un processo di deterioramento quasi tangibile. Acque s’estinguevano e morivano, uccelli e altre creature che avevano popolato quel luogo di delizie e raccoglimento migrarono in massa. Nel volgere di pochi mesi i briganti si ritrovarono ad abitare un mondo in dissolvimento inarrestabile. Quando finalmente risolsero di abbandonarlo, lo riconsegnarono al deserto, ormai ritornato parte integrante della sua sconfinata desolazione.

Dalla leggenda alla realtà degli itinerari battuti dalle correnti del turismo all included. Si va alle Meteore, nella Grecia degli anacoreti. Si scalano le cuspidi montagnose di granito tanto avulse dal contesto morfologico dei luoghi dove sorgono, sí da ritenerle residui planetari o astrali approdati sulla terra dopo ignote odissee spaziali. Sull’epidermide rugosa dei grandi sassi siderei, nulla potrebbe allignare se non il sassofrasso, o, nei ridotti alveoli e pieghe della roccia, il verde precario di piante cedue, che un accenno di vento piú severo sradica e precipita nel borro. Pure, una volta in cima, nel sacro recinto dei monasteri, ecco il prodigio ripetuto della leggenda berbera: nella desolazione, il rigoglio di acque e fiori, alberi e uccelli. Le rose, in particolare, osservate attraverso le grate dell’orto in uno dei conventi, sono enormi: colori metafisici e profumo da sortilegio. Predoni assenti, la minaccia delle orde turistiche, prese da soggezione per la santità dei luoghi, non basta a portare la rovina. L’armonia prevale sulla rapacità edonistica, e il miracolo è salvo per altri occhi.

Se ne conclude, dopo tali divagazioni – e le antiche conoscenze esoteriche lo dichiarano – che l’ambiente viene plasmato dalla presenza umana, e che dopo una protratta convivenza e simbiosi, esso finisce col testimoniare in maniera inequivocabile in quali termini l’influsso di quella presenza si sia materializzato, e in quale misura visibile i luoghi modellati dal colonizzatore uomo siano il riflesso della sua interiorità, del fluido eterico che emana dalla sua recondita sfera psichica. Dentro equivale a fuori e viceversa, in uno scambio osmotico, in un travaso continuo uomo-materia, uomo-natura, nel transfert realizzato spesso all’insaputa degli stessi agenti. O forse è ignara solo la controparte uomo, ché la natura, animata com’è da impulsi di ordine superiore, uniformata all’armonia cosmica, mai tradisce i canoni della necessità di perfezione. Cosa che sovente l’uomo, gratificato di libero arbitrio, dimentica volutamente, rendendosi artefice di degrado e rovine.

Ecco quindi l’urgenza che l’uomo si ponga nel ruolo di paladino dell’ordine e se ne faccia garante nell’esercizio delle sue funzioni terrestri. Probabilmente la cacciata dall’Eden non è una strada senza ritorno, e il Creatore non intendeva rendere la condanna senza possibilità di appello. Esiste la chance che il paradiso dei progenitori sia riedibile, e che a noi venga demandato il compito di restaurarlo con l’esercizio delle virtú ecologiche. O forse con la pratica delle semplici virtú interiori che, al pari di un sole, fatte esse stesse di quella sostanza che è pura luce, irradiando dalla nostra interiorità sulle cose che ci circondano, le modellino ai punto da renderle sublimi, ineffabili. Come i santi uomini dell’oasi fra le montagne dell’Haggar.

L’ecologia dunque non è più soltanto dotazione di depuratori, emanazioni di leggi a tutela dell’ambiente, sanzioni contro chi inquina o deturpa, ma diviene una scienza finalizzata al recupero dei valori morali della creatura uomo. Il fiorire di quanto ci circonda è fenomeno di riflesso, proiezione speculare della nostra anima e della suprema armonia che la muove, poiché il sole nasce dentro di noi.

 

Selezione da: F. Di Lieto, “Il Sole nasce dentro di noi”,
in «Mondovita», Anno II, n. 2, giugno-luglio 1988.