La pittura di Paola Mantovani

Alberi carichi di neveMentre dipingeva il Giudizio nella Sistina, Michelangelo si ammalò, in maniera abbastanza seria. La cosa venne riportata a Giulio II. Il papa, che, diffidente e tirato com’era, sospettava un ennesimo tentativo del fiorentino per allungare i tempi di lavoro e l’importo finale della commessa, si recò a visitarlo. Ai medici che intendevano purificare il sangue dell’infermo con salassi e pozioni, il pontefice disse: «Signori, il malato non ha sangue nelle vene, ma colori. La pittura è la medicina!».

Guardando la pittura di Paola Mantovani, si può verificare quanto sia verosimile il paradosso di Giulio II: con l’uso e la pratica del dipingere, non come esercizio saltuario e rapsodico ma come dedizione liturgica esistenziale diuturna, avviene la stupefacente metamorfosi dell’intera sfera fisiologica dell’artista, per cui il colore, soprattutto la setosa, consistente e persistente naturalità dell’olio, diviene linfa organica e non solo pittorica. La mestica combinatoria si raffina, da sostanza materica e chimica inerte, vira in toccante mistica espressiva.

Paola Mantovani ha chiuso questo cerchio, passando dal materico all’eterico con una naturalezza scevra di complicazioni intellettualistiche, di tentativi sperimentalistici, e soprattutto, senza lasciarsi irretire dalle corrive sirene delle installazioni, dal wrapping, dall’ambiguità inquietante della body art.

La sua opera ci consegna un repertorio iconico che dà voce e presenza al mondo di oggetti e scenari accessibili e fruibili senza complicazioni interpretative e rimandi a realtà avulse dal vivere chiaro e semplice dell’oggi. Un aderire al tempo presente che non è casuale o episodico, e meno che mai vezzo di un adeguamento alle mode correnti in termine di tecniche e rese figurative. Al contrario, gli oli e i pastelli della Mantovani sono il frutto di sedimentazioni delle varie culture in cui la sua anima è maturata, dal mondo afro-mediterraneo, acceso di cromìe vibranti, a quello dei cieli di Lombardia, dai toni arborei e lacustri, di una tenera ovattata serenità, definito dal Manzoni, ne I Promessi Sposi: «Quel cielo di Lombardia, così bello quand’è bello, così splendido, così in pace»…

Ecco, la pittura di Paola Mantovani ci regala l’immanenza del sublime nella semplicità del fare. La poiein dei Greci antichi che vedevano il divino nelle materia e nelle forme, e così lo testimoniavano. Che sia questa la ricetta per guarire un’arte, non solo pittorica, giunta alla cronica frequentazione del caos?

Fulvio Di Lieto